h. 17:00 – Aula Marco Celio
Chair: Sebastiano Loukas (Università di Bologna)
La LEX RIVI HIBERIENSIS
Melina Scollo (Università di Bologna)
L’acqua è l’elemento fondamentale per lo sviluppo di qualsiasi forma di vita ed è ovvio che il suo sfruttamento ha da sempre condizionato l’esistenza dell’uomo, soprattutto se costretto a vivere in zone aride. La lex rivi Hiberiensis è un’epigrafe giuridica di II secolo che regola lo sfruttamento del canale dell’Ebro da parte di alcune comunità paganiche della Spagna di Adriano: rispetto alle già poche iscrizioni attinenti alla gestione dell’acqua in età romana si rivela un unicum in quanto descrive dettagliatamente il funzionamento di una irrigation community. Rivitalizzando il rapporto
pagus-civitas, richiama altresì questioni importanti relative alla natura sia della pignoris capio sia dell’irrigazione in Spagna (araba o romana?), il che la lega a filo doppio ad altre interessanti iscrizioni come la lex metalli Vipascensis e la lex portus Asiae. Essendo l’iscrizione mutila, risulta difficoltosa l’interpretazione di alcuni luoghi del testo, che si avvale anche di confronti con altre iscrizioni simili, principalmente la tabula Contrebiensis e l’iscrizione di Lamasba. La sua recente scoperta e, conseguentemente, la mancanza di una trattazione sistematica assieme alla centralità di un’istituzione in genere scarsamente documentata dalle fonti (il pagus) e alla complessità delle questioni che potrebbe contribuire a dirimere, potrebbero costituire la spinta propulsiva per ulteriori ricerche miranti a scoprire l’effettivo valore di questa testimonianza rispetto ad un periodo antecedente all’invasione araba e il suo legame con un maggior numero di fonti in modo da poter contribuire alla ricostruzione di un altro aspetto della vita di un’antica società.
La history of violence di Giustino: lo strano caso delle morti in stock
Alice Borgna (Università del Piemonte Orientale)
Qual è il criterio con cui Giustino ha selezionato, all’interno della poderosa opera di Trogo, i materiali da inserire nella sua epitome? A questa domanda, pare rispondere lui stesso nella praefatio: ha scelto tutto quanto gli è parso degno di essere conosciuto perché iucundum voluptate cognoscendi ac exemplo (Iust. praef. 4). Ma cosa, nei fatti, risponde al gusto dell’epitomatore? Il materiale raccolto nell’Epitome sembra suggerire un parametro piuttosto singolare: Giustino ha conservato tutto ciò che è insolito, abnorme, scabroso, con particolare preferenza per i retroscena del potere, le efferatezze dei re e gli intrighi delle regine. La precisione della storia è annullata da tagli infelici, che spesso rendono impossibile la comprensione del succedersi degli eventi. Si deve dunque ipotizzare un lettore cui non interessi Clio, quanto più una serie di complotti, omicidi ed avvelenamenti: una vera e propria history of violence. A partire da questo presupposto si indagheranno le modalità di intervento dell’epitomatore: è confermato, come sembra lui stesso dichiarare nella praefatio, che egli si sia limitato a comporre un breve veluti florum corpusculum, un florilegio di spezzoni trogiani, oppure ha agito anche ad un livello contenutistico, modificando i dati storici dell’originale? Giustino epitomatore o epitomautore? Alcuni esempi tratti dall’opera dimostreranno, contrariamente a una diffusa tendenza della critica, («l’Epitome di Giustino rappresenta la più diretta, completa ed organica silloge di frammenti trogiani» Ferrero 1957, 56), che il breviatore non ha esitato a intervenire anche sul contenuto (ad esempio inserendo stock scenes di omicidi), con modalità e finalità che si riveleranno sorprendenti ma, a loro modo, assolutamente in linea con i canoni dell’epitomizing tradition della latinità tardoantica (Banchich 2007).